Il post di oggi sarà sicuramente poco “teorico” e più improntato sulla mia esperienza personale. Desidero rispondere alle numerose email di giovani che, concluse le scuole superiori, si apprestano a scegliere la facoltà universitaria e, interessati alla professione psicologica, mi chiedono se alla fine del percorso di studi sia facile trovare un’occupazione.
Come già accennato in un post precedente, alla fine del Liceo avevo già chiaro in mente che avrei voluto fare la psicologa. Mi ero iscritta anche al test di ingresso di un’altra facoltà, ma solo per “sfizio” personale.
Il test di ingresso a Psicologia non era vincolante ma solo “valutativo” e sapevo che avrei potuto immatricolarmi qualsiasi fosse stato il risultato. Ricordo ancora (e non mi vergogno a confessarlo) che il mio voto fu di 5/10…decisamente basso e poco incoraggiante. Eppure, con grande testardaggine e nonostante l’insistenza dei miei che già mi immaginavano col camice da medico, avevo deciso di iscrivermi ugualmente.
Più avanti avrei avuto la conferma che quel test d’ingresso non aveva alcun valore predittivo dal momento che molti di coloro che avevano preso un voto alto avevano abbandonato già al primo semestre mentre io ero riuscita a laurearmi nei termini previsti. Mi soffermo su questo punto non per elogiarmi ma per sottolineare due aspetti:
– che se si ha passione e determinazione è possibile raggiungere qualsiasi obiettivo e
– che i test d’ingresso (quando a numero chiuso) servono solo a scremare il numero di iscritti e non valutano la capacità di diventare un buon professionista.
Ho parlato di passione perché intraprendere la professione psicologica comporta molti sacrifici e, per diversi anni, nessuna remunerazione. Il tirocinio richiesto ai fini del superamento dell’Esame di Stato richiede molte ore di impegno, può essere davvero molto formativo (se si sceglie la struttura adatta) ma non è retribuito.
A mio modesto parere, la preparazione di uno psicologo va ampliata con l’iscrizione ad un corso quadriennale di psicoterapia. Si tratta di quattro anni di specializzazione che possono essere espletati nel privato o nel pubblico (in scuole annesse all’Università dal costo più contenuto ma a numero chiuso).
Anche in questo caso sono richiesti impegno e sacrificio (soprattutto economico). Spesso ci si trova a fare una scelta: dedicarsi a realizzare i propri progetti di vita (mettere su famiglia, avere dei figli, etc.) o quelli professionali? Fare entrambe le cose può rivelarsi davvero molto difficile.
Molti mi chiedono: ma dopo tanti anni di sacrificio e abnegazione esistono sbocchi lavorativi? Per quanto riguarda la psicologia clinica (che è l’orientamento da me scelto per lavorare con i pazienti) si può rimanere in attesa di concorsi per accedere al tanto agognato “posto fisso” nel pubblico (ma oggigiorno sono davvero molto rari) oppure lanciarsi nella libera professione. Anche in questo caso bisogna armarsi di determinazione e tanta pazienza, accettare di fare parallelamente un altro lavoro che permetta di mantenersi ma allo stesso tempo di investire nella gestione di uno studio (può anche essere una piccola stanza) per cominciare a farsi conoscere.
Ma il denominatore comune rimane sempre la passione: passione per un lavoro che per molto tempo darà solo soddisfazioni emotive, che ti costringerà a tante rinunce e che alcune volte ti farà chiedere se è davvero la strada giusta e se ne vale la pena. Io confesso di essermelo chiesto parecchie volte ma alla fine la risposta è stata sempre sì perché, nonostante le numerose difficoltà sul cammino, sapevo che non avrei potuto fare con lo stesso entusiasmo nessun’altra professione.
Io sono psicologa e mi sto specializzando con la scuola di psicoterapia, sono d’accordo su molte cose che hai detto. L’unica cosa che vorrei aggiungere è che per fare il nostro lavoro è necessario sperimentarsi , anche gratis, tramite tirocini e volontariato, il problema nasce quando, anche in queste situazioni in cui si offre il proprio impegno esclusivamente per imparare, le possibilità si rivelano poche. Ci si ritrova in luoghi di tirocinio in cui si lavora solo per fare psicodiagnosi e si implora per avere un paziente (e il secondo continua a non arrivare), forse sono io ad essere stata sfortunata ma penso che almeno i nostri formatori dovrebbero darci la possibilità di sperimentarci…non dico di guadagnare( anche se forse dopo un decennio di studi ce lo meriteremmo), ma almeno di imparare.
Ciao,
grazie per il tuo intervento. Credo che la possibilità di imparare dipenda molto dalla struttura e dai tutor che ti seguono. Io devo dire di aver avuto moltissime occasioni per sperimentarmi: anzi ho realizzato di aver imparato molto di più al tirocinio che durante l’Università. Se non sei soddisfatta della struttura in cui stai svolgendo il tuo tirocinio di Specializzazione, ti consiglio di cambiarla. Sei assolutamente “patentata” per vedere dei pazienti e i tuoi tutor devono metterti in condizione di poterlo fare. La psicodiagnosi andava bene al tirocinio post lauream, adesso puoi pretendere di più!
sono d’accordo. Peccato che l’ho già cambiato tre volte! Quindi mi viene da pensare che l’andazzo sia questo..anche se spero che quest’anno mi diano qualche possibilità in più insistendo un po’ 🙂