Che teneri!!!

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Alzi la mano chi non ha provato tenerezza nell’osservare i soggetti di queste foto. Ma cosa suscita in noi questo sentimento e perché?[…] La chiamano cute-mania (dall’inglese cute, carino) ed è un fenomeno dilagante che ha radici profonde nella nostra natura e implicazioni ben più rilevanti di quanto possiamo immaginare. Se troviamo irresistibili i cuccioli è per via di un meccanismo innato di conservazione della specie che si è sviluppato nel corso di milioni di anni, come già Charles Darwin aveva intuito.
“La tenerezza che suscitano negli adulti è la più grande arma di sopravvivenza dei nuovi nati: da un lato, li mette al riparo dalle aggressioni esterne e, dall’altro scatena una risposta istintiva di protezione e accudimento” spiega Giorgio Vallortigara, direttore del Centro mente e cervello dell’Università di Trento. A indurre queste reazioni sono caratteristiche ben precise, comuni a numerose specie, di fronte alle quali anche il più cinico degli individui sulla terra si scioglie. Testa tonda, fronte convessa, occhi grandi, naso schiacciato, guance paffute, arti cicciotti. Ma anche comportamento giocherellone, modi goffi, vagiti. E’ quello che il padre dell’etologia moderna, e Premio Nobel, Konrad Lorenz nel 1949 definì “baby schema” (o Kindchenschema), cioè l’insieme dei tratti inconfondibili che indicano immaturità, giovinezza, vulnerabilità e spingono i genitori a prendersi cura dei figli. “Crescendo queste caratteristiche si perdono e “l’effetto carino” tende a scomparire” sottolinea Vallortigara, ma ormai il peggio è scampato, ci si può difendere da soli. Questo sistema, che si è evoluto per assicurare la tutela ai propri cuccioli, funziona in realtà a largo spettro. “Vale verso tutti i cuccioli, ed è così potente da consentire le “adozioni” tra specie diverse, come i casi estremi di bambini cresciuti dai lupi, o i più frequenti episodi di cani che allevano micetti e viceversa” dice Enrico Alleva, etologo e accademico dei Lincei.

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E’ probabile che la sensibilità ai richiami infantili, spiccata in uccelli e mammiferi, fosse già presente all’epoca dei dinosauri: sono stati rinvenuti nidi con resti di gusci fossili, risalenti a 75 milioni di anni fa, costruiti dalla maiasaura (il cui nome significa “buona madre lucertola”), prova di quanto siano antiche le cure parentali. Negli Stati Uniti è stato ritrovato il cranio di un giovanissimo triceratopo, il dinosauro con l’aspetto da “rinoceronte preistorico”, con la testolina ridotta, due occhioni grossi e tre mini cornetti: doveva apparire super grazioso con quelle caratteristiche infantili…Secondo Kenneth McNamara, paleontologo dell’Università di Cambridge, i tratti pedomorfici, cioè fanciulleschi, si sarebbero sviluppati addirittura nei trilobiti, creature che popolavano i mari 500 milioni di anni fa. “Ma è la specie umana quella più suscettibile al “fattore carino” dice Alleva, e non è un caso visto quanto i neonati hanno bisogno di assistenza. Se abbiamo una soglia della tenerezza bassissima (ragion per cui ci piace qualunque cosa dell’aspetto “cucciolesco”) è perché ci aiuta ad affrontare meglio i primi faticosi anni di vita dei bebè. Altrimenti saremmo già belli che estinti.

E’ tutto programmato nel nostro cervello. Ci sono specifici circuiti cerebrali che si accendono quando esclamiamo “che carino!”: la corteccia orbitofrontale, specializzata nell’elaborazione degli stati mentali altrui, e l’amigdala, il regno delle emozioni, “una struttura collegata al sistema della ricompensa” specifica Vallortigara. “Nell’amigdala agisce la dopamina, il messaggero chimico del piacere, lo stesso sprigionato dalle sostanze stupefacenti”.
Si spiegano tante cose. Perché, per esempio la cute-mania dia dipendenza (quante ore si perdono su Internet guardando video di gattini?). Ma anche la gratificazione che un genitore prova nell’accudire un figlio, nonostante i sacrifici. Vale soprattutto per le donne, la cui percezione del carino, almeno in età fertile, è amplificata per effetto degli ormoni sessuali. “Progesterone, estrogeni, ossitocina rafforzano i circuiti neurali che predispongono alla cura della prole” conferma Piergiorgio Strata, professore di neurofisiologia all’Università di Torino. L’aspetto meno poetico della faccenda è che, in entrambi i sessi, questa propensione è tanto più forte quanto più il piccolo appare carino. Il cervello impiega 130 millisecondi per reagire alla vista di un neonato, hanno cronometrato Morten Kringelbach e Alan Stein dell’Università di Oxford. Ma, se si misura il tipo e l’intensità della reazione emotiva, si vede che un bel bebè conquista più coccole rispetto a uno meno attraente: il risultato è stato documentato da Melanie Glocker dell’Università della Pennsylvania, con un test nel quale volti di bimbi in cui erano accentuate le caratteristiche del baby schema sono stati valutati come più carini e hanno suscitato più voglia di prendersi cura dei pupi. Questo è coerente con altre ricerche, come uno studio dell’Università di Oxford che ha indagato le conseguenze sull’affettuosità verso bimbi con deformazioni del viso, come il labbro leporino. “Purtroppo, una piccola alterazione nello schema facciale può fare una grande differenza per le cure parentali” hanno commentato gli autori. Comunque, non è solo tenerezza ciò che i piccoli più carini ispirano nei grandi. C’è anche un po’ di innocua aggressività (la voglia di “stritolarli” di baci), che è l’altra faccia della medaglia – spiegano all’Università di Yale – delle intense emozioni negative. Altri esperimenti hanno osservato che di fronte a un paffuto esserino aumentano la concentrazione, l’allerta e le performance cognitive: è una specie di doping naturale […].

Fonte: Focus. Scoprire e capire il mondo. N. 256 – Febbraio 2014

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